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Quando basta uno sguardo per sentire l’altro

Chi mi conosce sa che ho una certa passione per l’arredamento. Mi piace molto entrare in un ambiente e iniziare a immaginarne le potenzialità (col senno di poi avrei potuto fare anche architettura di interni, ma Dio sa perché io abbia intrapreso tutt’altra carriera – questa però è un’altra storia).
C’è un filone dell’arredamento e della decorazione che mi intriga molto: lo Shabby Chic. Sarà la mia voglia di avere sempre a che fare con una sfida nuova, ma ammetto che non passa anno che non mi butti nel restauro o recupero di cose le più disparate: mobiletti, tavolini, pallet, pezzi di legno… e a tutti questi dono un volto nuovo e un nuovo scopo, nonché un’altra possibilità di utilizzo prima di finire in discarica. E ogni volta che metto mano a qualcosa da sistemare (perché io sistemo, non “shabbo” – termine che va moltissimo attualmente ma usato spessissimo in maniera impropria) penso a come Dio con tanta pazienza abbia fatto lo stesso con noi: ha preso le nostre vite senza senso o con un senso apparente, alcuni di noi erano pronti per la discarica, senza più speranze né futuro, e ci ha rifatti a nuovo, dandoci una nuova veste, cambiandoci da dentro a fuori e dandoci nuovi obiettivi.
Ma ritorniamo alla passione per l’arredamento. Voglio raccontarvi un aneddoto che mi ha colpito molto e che mi è successo circa 7 anni fa.

Un giorno scoprii per caso che un albergo del luganese svendeva i suoi arredi perché si rinnovava completamente. Passai a prendere la mia compagna di avventure – mia madre – e ci dirigemmo verso un proficuo “bottino”.
Fra le cose che notai in un angolo c’era un quadro di grandi dimensioni dalla cornice incrinata, a dire il vero si trattava di una stampa di ottima fattura di un artista che non avevo mai sentito nominare. Lo presi, gli diedi uno sguardo, e venni rapita dall’immagine. C’era qualcosa in quella espressione di colori e forma che mi trasmetteva emozione e pace. E come ben potrete immaginare alla fine presi il quadro nonostante la cornice non fosse ben messa.
Arrivammo a casa e nei giorni successivi continuavo a guardarlo (e credetemi, lo faccio ancora oggi con emozione). Alla fine mi decisi a cercare informazioni sull’artista e con mio grande stupore scoprii che si trattava di un uomo di circa 70 anni, olandese, ma soprattutto convinto credente in Cristo! Fra i suoi lavori si trovano quadri sui salmi, altri ispirati alle vicende di Gesù, e una lunghissima serie di fiori e immagini della natura, che già da sola con la sua bellezza basta a raccontare le meraviglie di Dio.

Il mio cuore fece un sobbalzo e il mio spirito con lui. Era bastato uno sguardo al suo dipinto (che apparentemente non aveva niente di “cristiano”) per percepire la bellezza del suo animo e il suo amore per Dio.
Ma so bene che in realtà, come lo è per me, anche per l’artista in questione vale lo stesso principio: non siamo stati noi ad amare Dio per primi.
Ma Dio, nel suo immenso amore, ha visto due esseri che oramai non avevano più valore, li ha presi, li ha lentamente lavorati (e continua a farlo) per dargli una nuova vita e un nuovo scopo.
E poi… con solo uno sguardo, li ha connessi.
Magari lui non saprà mai che esisto.
Ma come io spero e prego che quello che scrivo, sia testo o musica, lasci il segno in coloro che leggono o ascoltano, sono convinta che anche per lui valga lo stesso.

PS. Il quadro è ancora a casa nostra. E ha ancora la cornice rotta… forse a ricordarmi la perfezione e eternità dell’incontro divino e la decadenza di quello terreno.


Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio…
In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. 

1Giovanni 4:2,9-10

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