Luca – Capitolo 11

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v.5-10 Gesù in questo brano ci esorta a chiedere le cose con insistenza. E’ un pochino “dissacrante” della figura del Padre celeste, rappresentandolo come quell’amico che è già a letto e che non vuole alzarsi per darci i 3 pani. Ma questa rappresentazione forte, serve per farci capire che il Signore non ci vuole pigri e inattivi in questo mondo. Non siamo qui per sopravvivere, siamo qui per vincere una battaglia contro un leone ruggente. Il Signore vuole darci la vittoria, ma per delle Sue motivazioni, vuole che noi siamo insistenti nelle richieste, che bussiamo con impegno, e che cerchiamo con attenzione. La vita cristiana non è per sbadati, ma per soldati pronti a tutto per il loro generale!
v.10 Purtroppo la versione italiana non rende correttamente i verbi in questo versetto: quelli che partono da noi non sono al presente ma al participio presente, quindi invece di “chiede”, “cerca” e “bussa”, dovrebbe esserci scritto “chiede continuamente”, “cerca insistentemente” e “bussa ripetutamente”. Questi verbi non esprimono un’azione singola o ridotta, ma una abbondante e ripetuta. Nostro Signore ci vuole insistenti, forse perché solo così capiamo la pressione d’amore che c’è nel Suo cuore e l’urgenza per la salvezza e la liberazione delle anime.

v.11-13 Gesù ha speso molte parole riguardo l’importanza dello Spirito Santo, e qui ci incoraggia a chiedere di riceverLo con fede, perchè il Padre è buono e ci tiene a inviarceLo. Partendo dall’assunto che noi siamo malvagi (paragonati al Padre celeste, non c’è nessun altro che possa essere definito buono, anzi, non dovremmo neanche essere definiti “padri”, Matteo 23:9), ci spiega che il dono più grande e migliore, è lo Spirito Santo.

v.19 Cacciare i demoni non era una novità introdotta da Gesù, ma a quanto pare un’azione che era già praticata da alcuni ebrei. Gesù coglie al volo l’affermazione inopportuna, per svergognarla pubblicamente. Chi caccia demoni lo fa per liberare le persone e contrastare il regno del male. Dire che ciò possa avvenire con l’aiuto stesso del nemico non è realistico, ed inoltre è offensivo verso quegli ebrei, loro “figli”, che praticavano questo dono spirituale per il bene del popolo. Questi “figli” stessi svergogneranno l’ipocrisia di questi religiosi insensati.

v.23 Questo versetto parla contro l’ecumenismo, il buonismo, e l’accettazione indiscriminata di chiunque, quando quel chiunque non opera in nome di Gesù e per l’avanzamento del Regno di Dio. Non è da confondere con “Ma Gesù gli disse: «Non glielo vietate, perché chi non è contro di voi è per voi».” (Luca 9:50), dove invece Gesù cerca di distogliere i Suoi discepoli dal cercare il pelo nell’uovo, alla caccia di credenti che non sono secondo le nostre opinioni, e che non fanno parte, o non vogliono far parte della nostra chiesa. Il denominatore comune è la proclamazione del Regno di Dio, non importante quale chiesa o gruppo si frequenti. Riassumendo i due versetti, potremmo dire che non è un problema se le persone lavorano con noi, o non lavorano con noi, l’importante è che lavorano per la gloria di Dio e non la propria. Dobbiamo diffidare solo di chi ci attacca, e di chi lavora per la propria gloria o per quella di idoli.

v.24-26 Abbiamo bisogno di tenere occupata la nostra anima e la nostra vita con lo Spirito di Dio. In questo insegnamento di Gesù, il Maestro spiega che quando una persona viene liberata, la sua “casa” viene spazzata e adornata, ma se rimane vuota, può essere riattaccata e presa dallo stesso spirito, quando questo si porta dietro altri 7 spiriti peggiori di lui. La nostra vita non è fatta per rimanere vuota. Un grande uomo del passato diceva che la nostra anima ha un vuoto a forma di Dio, e non trova pace finché non la trova in Lui. Non è solo un’immagine poetica, anzi, è molto pratica, infatti se non riempiamo la nostra vita con lo Spirito di Dio, viene lo spirito opposto. Così se non guidiamo verso il riempimento nello Spirito Santo le persone che evangelizziamo e che liberiamo, saranno preda dell’altro.

v.27-28 “Beato”, secondo il cattolicesimo, è chi è asceso in paradiso e può intercedere a favore dei fedeli che lo pregano. Nell’insegnamento di Gesù, invece, “beato” non è un titolo religioso o un merito spirituale, ma uno stato normale del credente qui in terra che ascolta gli insegnamenti biblici e che si conforma ad essi. Nel testo originale greco, il termine che troviamo è Makàrios=felice, benedetto. “Beato” non è presente nel testo originale, infatti questa parola è una italianizzazione del latino “beatus”.
A una donna che ammira Maria proclamandola “beata”, cioè felice e benedetta, solo per essere stata la madre del Cristo, Gesù evidenzia che “piuttosto” sono felici e benedetti coloro che ubbidiscono alla Parola di Dio. Gesù non sminuisce il ruolo di Maria, ma innalza al suo livello il ruolo di tutti i veri credenti che ascoltano e mettono in pratica i Suoi insegnamenti. Ci sono due errori contro cui Gesù si batte:

  • venerare esseri umani, anche se familiari del Messia
  • praticare una religione umana, invece che seguire attentamente la Parola di Dio, ed esserne facitore (Giacomo 1:19-25)

Questo insegnamento può venire frainteso leggendolo nella nostra lingua. Nel testo originale, oltre ad esserci il termine Makàrios appena spiegato, ci sono due verbi in una forma verbale non presente in italiano. I due verbi “ascoltano” e “osservano” nel testo originale sono al participio presente, pertanto la traduzione corretta sarebbe “ascoltanti” e “osservanti”. Gesù non sta evidenziando un’azione sporadica, ma una ripetitiva e costante. Per essere “beati”, cioè benedetti e felici qui in terra, bisogna ripetutamente e continuamente ascoltare e agire per gli scopi di Dio scritti nella Sua Parola (Logos, spesso tradotto con “parola”, significa lo scopo o il ragionamento trasmesso dalla parola).

v.29-30 Per approfondire l’uso che ne fa Gesù della storia del profeta Giona, leggere commento a Matteo 16:4.

v.29-32 Questo brano è un ampliamento del concetto spiegato al v.28: ascoltare ripetutamente e attuare con costanza gli scopi e gli insegnamenti di Dio, cioè quello che insegna anche Gesù.

v.33 Recipiente, nell’originale è “moggio”, cioè un contenitore di circa 8 litri, dimensione sufficiente per nascondere una lampada.

V.37-41 Ancora una volta Gesù riprende l’ipocrisia religiosa. E’ sbagliato fissarsi nella condanna delle esteriorità. Bisogna invece fissarsi sul coltivare il dentro dell’uomo: giuste emozioni, intenzioni e affetti. La prima cosa che Dio guarda è l’interno dell’uomo. L’esterno deve seguire come conseguenza, ma non per essere un motivo di condanna, infatti ognuno deve guardare a sé stesso, non all’altro (Matteo 7:1-5, Luca 6:41-45).

v.42-52 In questi esempi, Gesù svergogna pienamente l’azione ipocrita ed esteriore dei religiosi. Essi possono guardare solo all’esteriore, e si preoccupano solo di questo, invece Dio guarda al cuore (=le motivazioni, i desideri e le intenzioni dell’uomo). E’ questo ciò che conta.

Gesù non condanna il pagamento della decima, che è un modo biblico per restituire a Dio un decimo delle nostre entrate finanziarie (consegnandolo ad una chiesa locale per il sostentamento della testimonianza e del servizio in questo mondo) come riconoscenza e ammissione che tutto ciò che abbiamo è un dono dall’alto. Anzi in questo brano Gesù conferma l’insegnamento della decima, ma lo usa per condannare per l’ennesima volta l’esteriorità dei religiosi. Pagare la decima è inutile se si ha il cuore lontano da Dio. Le buone opere non servono a niente, se trascuriamo la giustizia e l’amore di Dio. “Queste son le cose che bisognava fare, senza trascurare le altre” (v.42).

I dottori della legge avevano “portato via la chiave della conoscenza”. L’accusa di Gesù contro la religione, è di perdere tempo con insegnamenti che sembrano da parte di Dio, ma non lo sono. Insegnamenti che dimenticano l’amore di Dio e la Sua giustizia, per focalizzarsi invece su rituali, consuetudini e dottrine, per il “prurito d’udire” (2 Timoteo 4:1-4) o per l’orgoglio dei predicatori (in questo capitolo di Luca).

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