Commentario al Vangelo di Marco

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Questo Vangelo, anche se nelle nostre Bibbie è posto al secondo posto, in realtà è stato scritto per primo. Ha uno stile vivace, drammatico ed emotivo. Marco è il nome latino del suo autore e quindi probabilmente aveva qualche legame ufficiale con i Romani, ma aveva anche un nome ebraico (Giovanni) che significa “Il SIGNORE ha mostrato grazia”. Sicuramente era lui il ragazzo che fuggì nudo dai soldati al Getsemani. Spesso veniva chiamato Giovanni Marco, ed era figlio di Maria, cugino di Barnaba e dopo un primo viaggio missionario con Paolo dove si ritirò alla prima difficoltà. Nel secondo viaggio missionario di Paolo, fu la causa di attrito tra Paolo e Barnaba, e la conseguente separazione tra i due apostoli, dove Paolo proseguì con Sila e Luca, mentre Barnaba assieme al cugino Marco. Collaborò con l’apostolo Pietro ed infine divenne un assistente stabile e affidabile dell’apostolo Paolo, ricucendo una relazione benedetta. Marco, grazie al suo percorso di vita, poté attingere informazioni da testimonianze di primissima mano sulla vita di Gesù per la stesura del Vangelo e per la propria crescita spirituale. Alcuni chiamano questo Vangelo “Vangelo di Pietro” perché vedono in esso il carattere e le informazioni dell’apostolo.

E’ molto incentrato sulle azioni e i miracoli di Gesù, più che sui discorsi. Infatti il numero di miracoli riportati in questo Vangelo è di circa una ventina, equiparabile agli altri Sinottici, mentre le parabole sono solo 4 contro la ventina degli altri due.

Si sviluppa cronologicamente e geograficamente, partendo con i primi 9 capitoli ambientati in Galilea durante i primi 2 anni e mezzo di ministero. Alla fine del 9° capitolo Pietro riconosce in Gesù il Messia promesso, poi c’è il capitolo 10, quello della transizione dalla Galilea alla Perea nell’arco di 6 mesi, e poi l’ultima settimana del ministero che Gesù svolse in Giudea sono trattati dal capitolo 11 al 16, in un aumento del ritmo degli eventi sempre più incalzante. Vediamo in questo Vangelo che Gesù per i primi 2 anni e mezzo ha fatto di tutto per nascondere la Sua identità, con quello che è noto come “segreto messianico” affinché potesse svolgere il Suo ministero senza interruzioni e con meno disturbi possibili, per dedicarsi a preparare gli apostoli. Poi dal capitolo 11, quindi nell’ultima settimana di ministero terreno con l’ingresso trionfale in Gerusalemme, progressivamente si rivela in modo più esplicito, fino al “climax” finale dell’ingiusta condanna, crocifissione e risurrezione.

Per la legge ebraica poteva essere ucciso qualcuno che bestemmiava, ma a quel tempo Israele era sotto la dominazione e la legge romana, per cui i sacerdoti e gli scribi non potevano far condannare Gesù, se non modificando il capo di imputazione in tradimento. Che poi in realtà Gesù, in quanto Dio, non bestemmiava considerandosi uguale a Dio e non tradì nemmeno l’impero romano, in quanto il Suo Regno era di un altro mondo, quindi venne condannato e ucciso ingiustamente sia per l’imputazione romana che per quella ebraica. In questi dettagli il Vangelo di Marco è il più chiaro.

Gesù non fu sorpreso dal ricevere una ingiusta condanna a morte, ma anzi in tutto il Vangelo la preannuncia e l’aspetta con trepidazione. E’ anche per questa condanna ingiusta che può a pieno titolo empatizzare con noi quando ingiustamente subiamo gravi torti, fino ad arrivare alla tortura e alla morte per errore di altri. Insieme al Vangelo di Luca, questo è il più adatto per evangelizzare e presentare Gesù ai non credenti affinché possano comprendere la Sua grandezza e le Sue motivazioni.

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