Matteo – Capitolo 11

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v.1 Gesù pensava alle folle da raggiungere e a questo scopo preparava immediatamente le persone senza indugiare. Prima le chiese danno le istruzioni per preparare gli operai / discepoli / ministri, e prima si può andare nel mondo a portare la Buona novella. E non dobbiamo bloccare l’evangelizzazione e l’azione della chiesa con la scusante che non ci sono operai, oppure che quelli che ci sono non sono pronti, infatti Gesù prese dei semplici pescatori ed esattori, li addestrò per 3 anni, ma già dopo un anno li inviò a due a due, in un primo “praticantato”, a guarire, liberare dai demoni ed evangelizzare. Un errore della chiesa moderna è pensare che solo il pastore, o l’evangelista, o l’apostolo abbia il titolo per operare in potenza, confondendo la posizione con l’opera. Gesù chiama TUTTI i suoi discepoli all’opera in potenza (28:16-20, Marco 16:15-20), ed alcuni ad avere chiamate particolari (Romani 12, 1 Corinzi 12, Efesini 4), e non sarà mai la posizione o l’apparente autorità a determinare la potenza spirituale della persona. Questo concetto Gesù lo spiega parlando di Giovanni Battista al v.9-10, il quale esteriormente era l’ultimo degli ebrei, vestito di pelli, che viveva da selvaggio nel deserto mangiando cavallette, ma all’atto pratico era l’ultimo e maggiore dei profeti dell’antico Patto: Gesù dichiara Giovanni Battista essere il precursore del Messia che era stato profetizzato (anche v.14), e quindi indirettamente conferma anche sé stesso come Messia promesso (Malachia 4:5).

“Andò a predicare e insegnare nelle loro città” dà l’impressione che si debba andare prima nella città dove abitano gli operai / discepoli, stessi. Forse perché loro sono testimoni. Loro sono conosciuti sul posto. Saranno loro a seguire le persone, Gesù non ne è “geloso”, nel senso che se Gesù stesso non mira ad impadronirsi in modo esclusivo delle città e delle persone, ma coinvolge gli operai locali, anche noi possiamo essere tranquilli, e mirare solo alla diffusione del Regno di Dio, e non del “nostro”.

v.4-5 L’analisi che Gesù fa della propria opera (guarigioni, miracoli, evangelizzazione), è un collegamento più o meno velato a Isaia 29:18-19 e 35:5-10.

v.11 Se noi viviamo nel Regno di Dio, saremo più grandi di Giovanni Battista.

v.12 Bisogna avere “forza” e “violenza” per impadronirsi del Regno dei cieli. Non è qualcosa di facile, infatti Gesù richiama la lotta e la violenza. In un certo senso fisica contro la nostra carnalità, e in un certo senso spirituale per resistere agli attacchi del nemico.

v.16-19 La generazione (incredula e carnale) è simile a quei bambini che vogliono tante cose, ma non si soddisfano mai. Infatti volevano i profeti, volevano il Messia, hanno avuto tutto, ma non gli è bastato e hanno trovato scuse e critiche per non riconoscerlo anche in questo caso.

v.20-24 Corazin, Betsaida e Capernaum erano città natali di diversi degli apostoli, e in questi luoghi Gesù aveva incentrato maggiormente il proprio ministero terreno, svolto al di fuori di Gerusalemme. Il rimprovero qui è che ognuna di queste città ha ricevuto una manifestazione maggiore (numerica o qualitativa) di opere potenti, guarigioni e liberazioni rispetto ad altri luoghi e queste città (ovvero le persone che le abitano) sono maggiormente responsabili di manifestare quel vero e profondo ravvedimento spirituale che Dio cerca. Quindi, le guarigioni e i miracoli sono strumenti che Dio usa affinché il cuore dell’uomo si ravveda. Il fulcro di Dio è su questo punto.

v.25-26 La sapienza e la grandezza di Dio si raggiunge solo riconoscendosi “piccoli” e ricevendo “rivelazione” (“le hai rivelate ai piccoli”). I “sapienti” secondo questo mondo e gli “intelligenti” secondo questo mondo, quindi i capi religiosi e le persone spirituali secondo il modo terreno di giudicare, non ricevono la rivelazione di Dio, anzi Dio stesso si nasconde loro (e loro neanche lo sanno, perché sono accecati dalla propria cultura, religione, preparazione, superbia).
Questa rivelazione ai piccoli e questo nascondimento ai sapienti, entusiasma Gesù, e piace al Padre.

v.27 Per conoscere il Padre (anche amare il Padre) bisogna conoscere il Figlio (anche amarlo) e avere la rivelazione del Padre che viene dal Figlio.

v.28-30 Il vero riposo viene solo da Gesù. Non c’è nulla al mondo che possa darci riposo. Quando siamo affaticati e oppressi, dobbiamo andare da Lui per avere liberazione. Ciò non vuol dire che quando siamo a posto possiamo fare quello che ci pare e andare da chi ci piace. Invece è meglio stare con Gesù e prendere il Suo “giogo” per sempre e il prima possibile: solo così avremo riposo per sempre.
Il desiderio di Gesù è di alleggerirci. Non di sgravarci completamente, ma neanche di appesantirci. La verità è sempre nel mezzo: Lui vuole alleggerirci e addolcirci (v.30).

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